INTERVISTA A MARCO CERVINO, FISICO DELL'ISTITUTO DI SCIENZE DELL'ATMOSFERA DEL CNR, SULLA CENTRALE TURBOGAS DI COLLEFERRO [CHE PARE DARCI RAGIONE... NDR]
di Rossella Anitori - TERRA, 7.11.10, p.3
Versione testuale
Monta l’opposizione contro la scelta dell’amministrazione di Colleferro (Roma) di far spazio ad un nuovo impianto nocivo. Parla Marco Cervino, fisico dell’Istituto di scienze dell’atmosfera del Cnr
Dopo le proteste dei cittadini contro la nuova centrale Turbogas che la Secosvim srl vorrebbe realizzare a Colleferro, nel cuore della Valle del Sacco, l’amministrazione comunale ha sospeso per alcuni giorni la realizzazione dell’opera in attesa di un parere del Cnr. Il sindaco, accusato di non aver provveduto ad informare gli abitanti del progetto in corso di approvazione, si è detto sicuro che il parere del Consiglio nazionale delle ricerche confermerà le scelte dell’amministrazione. Per chiarire i termini della questione, Terra ha intervistato Marco Cervino, fisico dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr.
Qual è il suo parere sulla tecnologia turbogas? È un impianto nocivo, e se sì, perché?
Come tutti gli impianti alimentati da fonti fossile sottrae energia alle generazioni future e realizza prodotti di scarto, soprattutto in termini di emissioni in atmosfera. La turbogas, bruciando gas naturale, produce anidride carbonica, contribuendo alle emissioni antropiche che cambiano l’equilibrio climatico; ossidi di azoto, che hanno un riconosciuto effetto sanitario, e può provocare anche la formazione di particolato. Quando si sceglie di installare una centrale di questo tipo bisogna valutare attentamente ogni fattore.
In una zona già a rischio per la presenza di impianti industriali contaminanti tra cui cementifici e inceneritori, come quella di Colleferro, crede che questa sia una scelta opportuna?
In questa area, come in altre del territorio italiano, bisognerebbe fare delle scelte che tendono a migliorare le cose, non aggiungere emissioni ad altre emissioni. Un cementificio generalmente produce già una quantità di ossidi di azoto importante. C’è bisogno di un forte impegno per uscire da un passato nocivo verso un futuro sostenibile.
Una centrale del genere emette polveri fini e ultrafini. La legislazione italiana è in grado di tutelare la popolazione?
La legge è indietro rispetto alle conoscenze scientifiche. Sulle nanopolveri non ci sono norme né limiti quantitativi. In alcuni casi sono stati fatti dei passi in avanti, per alcune turbogas per esempio è stato previsto un monitoraggio delle polveri.
A prescindere dal monitoraggio, però, sappiamo comunque che queste polveri fanno male alla salute.
Si. sicuramente. Sappiamo che le polveri fanno male alla salute e che ce n’è una quantità in circolazione tale da provocare molti decessi sul territorio nazionale.
Esistono tecnologie alternative o la turbogas rappresenta una scelta obbligata?
Di tecnologie alternative ce ne sono, ma bisogna capire se la turbogas vuole essere un’impresa economica o se serve davvero energia nella zona.
ARTENA, ANCORA SULLA MANIFESTAZIONE NO TURBOGAS DEL 6.11.10 ORGANIZZATA DAL COMUNE E SULLA NOTA DELL'UFFICIO STAMPA RETUVASA SUL TEMA
Il nostro comunicato sulla manifestazione ad Artena contro la turbogas del 6 novembre è stato pubblicato integralmente su Quotidiano sera 8.11.10
PROCESSO SUI RIFIUTI TOSSICI NEGLI INCENERITORI DI COLLEFERRO, CODICI SI COSTITUIRA' A GENNAIO.
L'UNICO, 8.11.2010
"E’ fissata per il giorno 13 gennaio 2011 presso il tribunale di Velletri l’udienza preliminare contro il direttore tecnico degli impianti di termovalorizzazione di Colleferro, il responsabile della gestione dei rifiuti ed altri 24 soggetti implicati a vario titolo nella vicenda dell’inquinamento e degli scarichi tossici nell’inceneritore di Colleferro. Codici si costituirà quindi nel procedimento."
Lo rende noto, in un comunicato stampa, l'Associazione Codici. E così commenta Ivano Giacomelli, segretario Nazionale del Codici: "Siamo fiduciosi che la legge seguirà il suo corso, mettendo finalmente un punto su una questione che va avanti ormai da diversi anni."
Lo rende noto, in un comunicato stampa, l'Associazione Codici. E così commenta Ivano Giacomelli, segretario Nazionale del Codici: "Siamo fiduciosi che la legge seguirà il suo corso, mettendo finalmente un punto su una questione che va avanti ormai da diversi anni."
"Quello che è accaduto a Colleferro in questi anni di cattiva gestione degli inceneritori - prosegue Valentina Coppola, segretario Provinciale Codici Roma - è il motivo principale per cui molti cittadini protestano quando si parla di installare inceneritori nei loro paesi. Gli abusi sono stati talmente tanti da creare sfiducia oltre che ovvi timori nelle persone. Ci auguriamo che a gennaio la legge dia finalmente un segnale certo, in direzione della legalità a tutela della salute e dell’ambiente".
LEGGI IL COMUNICATO STAMPA INTEGRALE DI CODICI
Il Messaggero Fr 8.11.10, pp.54 (prima) e 55 - di Vittorio Buongiorno
Andreas Kipar, l’architetto-paesaggista tedesco, da anni consulente del sindaco di Milano, Letizia Moratti, si è preso sulle spalle il fardello della Valle del Sacco. E’ stato lui a curare il masterplan del progetto di rilancio di un caso emblematico di disastro ambientale e declino industriale.
«Non facciamo gli eroi - esordisce con il suo marcato accento tedesco, malgrado lavori in Italia dal 1990 - Alla Valle del Sacco serviva soprattutto qualcuno che prendesse coscienza della cosa e raggruppasse gli attori intorno a un tavolo. La Fondazione Kambo l’ha capito, le associazioni imprenditoriali l’hanno capito, la Provincia l’ha capito. E’ l’occasione per far vedere come si può promuovere una nuova cultura della produzione senza danneggiare, anzi salvaguardando ambiente. E’ giusto che intellettuali e imprenditori comincino a muoversi».
Lei è diventato famoso alla fine degli anni Ottanta in Germania per il progetto di riqualificazione del bacino della Ruhr, ci sono analogie con la Valle del Sacco?
«Anche lì si partì dalla constatazione che con la chiusura fabbriche, parliamo di centinaia impianti carboniferi, e con la perdita di migliaia di posti di lavoro, si doveva inventare nuova una produttività industriale».
ANAGNI. L'ACQUA NON ARRIVA SOLO DAL CIELO, LA RETE IDRICA E' UN COLABRODO
La Provincia FR 8.11.10 p.22
GRANDE RISALTO MEDIATICO AL CONVEGNO DELLA FONDAZIONE KAMBO DEL 10.11.10 A FROSINONE.
INTERVISTA AD ANDREAS KIPAR, MAIN DIRECTOR DI LAND
(ABBIAMO SOTTOLINEATO IN AZZURRO ALCUNI PASSAGGI CHE CI PIACCIONO MOLTO. IN GIALLO ALTRI CHE NON CI CONVINCONO). Il Messaggero Fr 8.11.10, pp.54 (prima) e 55 - di Vittorio Buongiorno
Andreas Kipar, l’architetto-paesaggista tedesco, da anni consulente del sindaco di Milano, Letizia Moratti, si è preso sulle spalle il fardello della Valle del Sacco. E’ stato lui a curare il masterplan del progetto di rilancio di un caso emblematico di disastro ambientale e declino industriale.
«Non facciamo gli eroi - esordisce con il suo marcato accento tedesco, malgrado lavori in Italia dal 1990 - Alla Valle del Sacco serviva soprattutto qualcuno che prendesse coscienza della cosa e raggruppasse gli attori intorno a un tavolo. La Fondazione Kambo l’ha capito, le associazioni imprenditoriali l’hanno capito, la Provincia l’ha capito. E’ l’occasione per far vedere come si può promuovere una nuova cultura della produzione senza danneggiare, anzi salvaguardando ambiente. E’ giusto che intellettuali e imprenditori comincino a muoversi».
Lei è diventato famoso alla fine degli anni Ottanta in Germania per il progetto di riqualificazione del bacino della Ruhr, ci sono analogie con la Valle del Sacco?
«Anche lì si partì dalla constatazione che con la chiusura fabbriche, parliamo di centinaia impianti carboniferi, e con la perdita di migliaia di posti di lavoro, si doveva inventare nuova una produttività industriale».
«Parliamo di 150 progetti singoli - continua Andreas Kipar, spiegando cosa è stato fatto nel bacino della Ruhr, in Germania - di investimenti per 4 miliardi di allora, di 320 km quadrati di parco paesaggistico ambientale. Il risultato? Dopo 15 anni la Ruhr è diventata capitale europea della Cultura».
E la valle del Sacco?
«E’ la stessa cosa. Creare l’humus perché qualcuno possa investire su territorio in modo diverso. Se ha funzionato in Germania, Inghilterra, Francia, Spagna, non c’è motivo perché non possa funzionare qui».
Partiamo dalla situazione che ha trovato.
«Ho studiato il territorio e visto che attraverso tutta la valle ci sono già isole tematiche territoriali. Sono già venuti fuori 100 progetti singoli, condivisibili con le sette linee di azione definite dall’Unione Europea, dall’energia rinnovabile, all’agricoltura sostenibile, fino alla eco edilizia, all’ecoproduzione e al turismo. Ma la valle sacco ha gran vantaggio rispetto alla Ruhr».
Sul serio?
«E’ un territorio che non è venuto fuori da una industrializzazione speculativa nata sul bacino carbonifero ma che ha una storia millenaria. E siccome la cultura in questo processo è fondamentale, non dovremo inventare nulla. C’è già tutto».
L’idea di fondo del rilancio non è cambiata, resta quella dell’ecodistretto per la produzione di energia rinnovabile e di agricoltura no food.
«Sì, ma con tanti piccoli interventi sotto una sola regia. E dando esempi di buona pratica. Ecco, in ogni “isola” servono 3 o 4 esempi così. E’ il primo passo: non servono progetti faraonici ma solo tanti piccoli progetti messi in rete, a sistema, che formano il nuovo paesaggio non solo fluviale».
In questi mesi che idea si è fatto?
«E’ un territorio con una elevatissima accessibilità veloce, credo sia il tratto con più caselli autostradali in Italia, ma non ha alcuna accessibilità lenta. Io ero preparato e avevo ottime guide, altrimenti esci dal casello e non trovi nulla».
E invece cosa si può trovare?
«Con un po’ fatica e fantasia abbiamo disegnato degli itinerari che già si possono percorrere per vedere cose spesso nascoste, depositi militari, l’ex Snia di Colleferro, i complessi Italcementi, cattedrali che sono lì, che vorrebbero raccontare una storia ma non possono perché sono chiusi. L’itinerario della cultura industriale serve per ridare al territorio un senso del proprio recente passato. A Duisburg l’acciaieria è diventata un parco, uno spettacolo, una fabbrica che non produce acciaio ma cultura. A Essen la cokeria oggi è un monumento Unesco».
E la valle del Sacco?
«E’ la stessa cosa. Creare l’humus perché qualcuno possa investire su territorio in modo diverso. Se ha funzionato in Germania, Inghilterra, Francia, Spagna, non c’è motivo perché non possa funzionare qui».
Partiamo dalla situazione che ha trovato.
«Ho studiato il territorio e visto che attraverso tutta la valle ci sono già isole tematiche territoriali. Sono già venuti fuori 100 progetti singoli, condivisibili con le sette linee di azione definite dall’Unione Europea, dall’energia rinnovabile, all’agricoltura sostenibile, fino alla eco edilizia, all’ecoproduzione e al turismo. Ma la valle sacco ha gran vantaggio rispetto alla Ruhr».
Sul serio?
«E’ un territorio che non è venuto fuori da una industrializzazione speculativa nata sul bacino carbonifero ma che ha una storia millenaria. E siccome la cultura in questo processo è fondamentale, non dovremo inventare nulla. C’è già tutto».
L’idea di fondo del rilancio non è cambiata, resta quella dell’ecodistretto per la produzione di energia rinnovabile e di agricoltura no food.
«Sì, ma con tanti piccoli interventi sotto una sola regia. E dando esempi di buona pratica. Ecco, in ogni “isola” servono 3 o 4 esempi così. E’ il primo passo: non servono progetti faraonici ma solo tanti piccoli progetti messi in rete, a sistema, che formano il nuovo paesaggio non solo fluviale».
In questi mesi che idea si è fatto?
«E’ un territorio con una elevatissima accessibilità veloce, credo sia il tratto con più caselli autostradali in Italia, ma non ha alcuna accessibilità lenta. Io ero preparato e avevo ottime guide, altrimenti esci dal casello e non trovi nulla».
E invece cosa si può trovare?
«Con un po’ fatica e fantasia abbiamo disegnato degli itinerari che già si possono percorrere per vedere cose spesso nascoste, depositi militari, l’ex Snia di Colleferro, i complessi Italcementi, cattedrali che sono lì, che vorrebbero raccontare una storia ma non possono perché sono chiusi. L’itinerario della cultura industriale serve per ridare al territorio un senso del proprio recente passato. A Duisburg l’acciaieria è diventata un parco, uno spettacolo, una fabbrica che non produce acciaio ma cultura. A Essen la cokeria oggi è un monumento Unesco».
Altro servizio a p.56
Ma qui ci sono anonimi capannoni dismessi.
«Non sono da buttare via, toccherà agli architetti nobilitarli».
E poi il fiume. Inquinato a livelli assurdi.
«Dovrà essere risanato, iniziare da lì. Sarà il Sacco la spina dorsale, il collegamento “lento”. Terzo punto i collegamenti con l’entroterra. Ci sono posti come Anagni, quando ci arrivi è come entrare in un altro mondo. Ma non c’è una soglia. Questi punti dovranno avere accesso diretto alla spina dorsale del fiume. Il masterplan è questo. Più che un progetto è un processo che durerà 15 anni, bisognerà trovare attori locali capillari e una sola regia».
Siamo pronti per capirlo?
«Se riusciamo a far vedere subito buoni esempi, sì. Area per area il processo bonifica deve produrre subito risultati tangibili. Penso ai boschetti dell’ecodistretto che contribuiscono alla decontaminazione, ecco portare lì i primi itinerari, subito, in primavera promuoverli sul campo».
A questo punto, è ottimista?
«Grazie al lavoro del tavolo territoriale ho la sensazione che l’humus comincia a depositarsi. Ma dobbiamo evitare due cose, le più pericolose. Primo la banalizzazione, dire ma tanto è solo una bonifica. No, la bonifica deve diventare opera d’arte come i laghi di fitodepurazione nella Ruhr sono un’opera d’arte. E poi l’indifferenza, non possiamo permettercelo».
In Ciociaria in questi ultimi due anni parlare di Valle del sacco e di sviluppo ha significato soprattutto parlare di aeroporto, anzi aeroporto si o no.«Non sono da buttare via, toccherà agli architetti nobilitarli».
E poi il fiume. Inquinato a livelli assurdi.
«Dovrà essere risanato, iniziare da lì. Sarà il Sacco la spina dorsale, il collegamento “lento”. Terzo punto i collegamenti con l’entroterra. Ci sono posti come Anagni, quando ci arrivi è come entrare in un altro mondo. Ma non c’è una soglia. Questi punti dovranno avere accesso diretto alla spina dorsale del fiume. Il masterplan è questo. Più che un progetto è un processo che durerà 15 anni, bisognerà trovare attori locali capillari e una sola regia».
Siamo pronti per capirlo?
«Se riusciamo a far vedere subito buoni esempi, sì. Area per area il processo bonifica deve produrre subito risultati tangibili. Penso ai boschetti dell’ecodistretto che contribuiscono alla decontaminazione, ecco portare lì i primi itinerari, subito, in primavera promuoverli sul campo».
A questo punto, è ottimista?
«Grazie al lavoro del tavolo territoriale ho la sensazione che l’humus comincia a depositarsi. Ma dobbiamo evitare due cose, le più pericolose. Primo la banalizzazione, dire ma tanto è solo una bonifica. No, la bonifica deve diventare opera d’arte come i laghi di fitodepurazione nella Ruhr sono un’opera d’arte. E poi l’indifferenza, non possiamo permettercelo».
«Questa polarizzazione sul sì o no accade solo perché c’è grande insicurezza e non c’è voglia di affrontare i veri problemi, è una fuga in avanti per aspettare ancora una volta un miracolo. Se invece focalizzi l’attenzione su piccole cose fattive, non hai tempo per pensare, mi perdoni, alle stronzate. L’aeroporto non serve a niente, è come il ponte sullo stretto di Messina, non ha senso. Qui l’accessibilità veloce già c’è. E’ la vecchia logica di attirare grandi capitali, che invece non ci sono più. Il mondo sta cambiando, le vecchie ricette non funzionano più, la Valle del Sacco deve diventare laboratorio del futuro, della nuova produttività che coniuga sviluppo con salvaguardia del paesaggio. Le condizioni ci sono.
Un progetto visionario.
«E’ questo che mi preoccupa. meglio volare basso, non enfatizzare. Lavoriamo in un contesto che rimane sfiduciato, in un territorio che si sente tradito. Diventerebbe il pretesto per dire: è troppo, qui non si può fare. Non è importante la grande visione, ma le piccole cose che si fanno subito. L’importante è la regia complessiva. Se troviamo 3 o 4 sindaci illuminati, 2 o 3 imprenditori illuminati, è fatta. Inutile sbattere testa contro il muro di chi non vuole ascoltare».
Naturalmente Andreas non salverà la Valle del Sacco gratis, ma grazie anche al contributo di partner lungimiranti. Tra i promotori del tavolo della Fondazione Kambo, alcuni sono totalmente disinteressati, in primo luogo la Diocesi di Frosinone (ndr Rs Retuvasa).
Altro servizio a p.56
La realizzazione del Master Plan per la valle del Sacco è stata finanziata da Confindustria Lazio, Confindustria Frosinone, Federlazio, Consorzio di sviluppo industriale frosinone, da due banche (la Popolare del Frusinate e quella della Ciociaria) e dalla Amministrazione Provinciale. In questi mesi al tavolo riunito dalla Fondazione Kambo (chiamata dal vescovo Ambrogio Spreafico a coordinare il lavoro) hanno partecipato Maurizio Stirpe, Marcello Bertone, Aldo Della Peruta, Silvio Ferraguti, Enzo Carlevale, Giuseppe Zeppieri, Arnaldo Zeppieri, Leonardo Zeppieri. «Il Format di cui si doterà Frosinone costituisce il primo caso in Italia di un format paesaggistico territoriale - commenta Daniela Bianchi della Fondazione Kambo - e per una volta potremo candidarci a divenire una best practice. Ancor di più lodevole se riusciremo a farlo tra fusti avvelenati che emergono ogni giorno, con una coscienza di paesaggio e territorio che solo ora inizia ad emergere come qualcosa da tutelare, in un contesto in cui c’è bisogno di una leadership territoriale a cui affidare anche un rinnovato ruolo di responsabilità sociale per guidare l’intero territorio verso uno scatto di orgoglio, che è l’unica leva con cui contrastare fenomeni spuri di ogni tipo».
La realizzazione del Master Plan per la valle del Sacco è stata finanziata da Confindustria Lazio, Confindustria Frosinone, Federlazio, Consorzio di sviluppo industriale frosinone, da due banche (la Popolare del Frusinate e quella della Ciociaria) e dalla Amministrazione Provinciale. In questi mesi al tavolo riunito dalla Fondazione Kambo (chiamata dal vescovo Ambrogio Spreafico a coordinare il lavoro) hanno partecipato Maurizio Stirpe, Marcello Bertone, Aldo Della Peruta, Silvio Ferraguti, Enzo Carlevale, Giuseppe Zeppieri, Arnaldo Zeppieri, Leonardo Zeppieri. «Il Format di cui si doterà Frosinone costituisce il primo caso in Italia di un format paesaggistico territoriale - commenta Daniela Bianchi della Fondazione Kambo - e per una volta potremo candidarci a divenire una best practice. Ancor di più lodevole se riusciremo a farlo tra fusti avvelenati che emergono ogni giorno, con una coscienza di paesaggio e territorio che solo ora inizia ad emergere come qualcosa da tutelare, in un contesto in cui c’è bisogno di una leadership territoriale a cui affidare anche un rinnovato ruolo di responsabilità sociale per guidare l’intero territorio verso uno scatto di orgoglio, che è l’unica leva con cui contrastare fenomeni spuri di ogni tipo».